Alzheimer: superare gli stereotipi negativi nella cura della demenza
La residenza sanitaria lombarda "Villaggio Amico" offre sostegno ai malati di Alzheimer. Gli approcci non convenzionali nella cura della persona con demenza al centro del convegno annuale del Centro Servizi Polifunzionale
La demenza è una malattia cronico degenerativa caratterizzata dalla progressione, più o meno rapida, dei deficit cognitivi, dei disturbi del comportamento e del danno funzionale con perdita dell’autonomia e dell'autosufficienza con vario grado di disabilità e conseguente dipendenza dagli altri, fino all’immobilizzazione a letto.
La malattia di Alzheimer è la più comune forma di demenza. Insorge più frequentemente dopo i 65 anni di età e colpisce più spesso le donne.
La Residenza Sanitaria Assistenziale lombarda Villaggio Amico, convenzionata con la Regione Lombardia, avvalendosi di specialisti interni ed esperti nell’ambito della geriatria e neurologia, ha organizzato un convegno annuale sugli approcci non convenzionali nella cura della persona con demenza, in concomitanza con la Giornata mondiale dell’Alzheimer dello scorso settembre. All’interno del Centro Polifunzionale, che offre sostegno alle famiglie di Varese, Milano e Como, ha una grande rilevanza il Centro Alzheimer, o Villaggio della Memoria.
APPROCCI NON CONVENZIONALI NELLA CURA DELL’ALZHEIMER
Al centro degli approcci non convenzionali nella cura della persona con demenza non vi è più un approccio classico medico-clinico ma un approccio multicomponenziale, che sappia tenere conto della ricchezza apportata da più professionisti, che lavorano con l'obiettivo comune di «curare», ossia prendersi cura, di una persona con una malattia che provoca un deterioramento a livello psico-fisico.
“La malattia di Alzheimer non modifica il suo decorso e non guarisce con un farmaco, ha affermato la psicologa dell’area neuropsicologica di Villaggio Amico, Loredana Locusta. Occorre modificare l’approccio alla cura: La conoscenza della storia personale diviene fondamentale per la costruzione di un rapporto per così dire «funzionale», con la persona malata. L’obiettivo è superare lo stereotipo classico associato alla malattia di Alzheimer, che ci fa pensare che non vi possa essere più niente da fare nella cura di questa malattia”.
Gli stereotipi negativi hanno un peso importante perché influenzano la performance cognitiva. A sostenerlo è il professor Carlo Serrati, neurologo e farmacologo clinico, direttore di Neurologia e del Dipartimento di Neuroscienze dell’IRCCS Ospedale San Martino di Genova. Allo stesso modo, la comunicazione in generale – sia essa verbale o non verbale – ha un ruolo fondamentale nell'approccio con la persona con demenza.
ALZHEIMER E DISTURBI DEL COMPORTAMENTO
La malattia di Alzheimer comporta, come altre demenze, disturbi del comportamento sia derivanti dall'indebolimento delle funzioni cognitive che sintomi non cognitivi, associati alla sfera comportamentale della persona e che rendono ancor più complessa la gestione del malato.
Come ha precisato il professor Giuseppe Bellelli, associato di Geriatria all’Università di Milano Bicocca A.O. San Gerardo di Monza: “I disturbi del comportamento, che solitamente si riscontrano in una persona con demenza sono, ad esempio l'ansia, l'agitazione, il comportamento aggressivo, l'irrequietezza, l'apatia e in alcuni casi la disinibizione o anche manifestazioni di tipo psicotico quali deliri, allucinazioni o comportamenti auto o etero-lesionisti”.
APPROCCI FARMACOLOGICI E NON FARMACOLOGICI
Nella cura dell'Alzheimer, risulta di fondamentale importanza valutare i benefici ma anche i rischi degli approcci sia farmacologici che non farmacologici. Un primo passo da fare, ha spiegato Bellelli, è quello di partire dalla frequenza dei disturbi comportamentali nelle demenze per poi verificare l'impatto sulla salute della persona.
I disturbi del comportamento sono difficili da gestire da parte del familiare caregiver e sono un'alta fonte di stress. Secondo numerosi studi, circa l'80% dei pazienti con demenza nelle RSA riceve farmaci antipsicotici e molti antipsicotici sono usati in prima battuta per disturbi comportamentali di varia natura, osservati o anche solo "riferiti". Solo il 58% delle persone con demenza, iniziano un antipsicotico con indicazioni appropriate in base a quanto riportato nella documentazione sanitaria”, ha aggiunto il professor Bellelli.
MALATTIA DI ALZHEIMER: QUALE SCELTA DI CURA?
É frequente l'uso di antipsicotici come prima scelta nei disturbi comportamentali di pazienti con demenza. Tuttavia, la dottoressa Loredana Locusta ha affermato che è preferibile un approccio non farmacologico ai disturbi del comportamento, partendo dal contesto del paziente, esplorando le aspettative del caregiver e creando un ambiente idoneo per la persona.
La terapia non farmacologica include più azioni che si possono attuare per la sua applicazione, ad esempio una buona stimolazione cognitiva del paziente e un suo ri-orientamento; comunicare con la persona adeguatamente, parlando con chiarezza, evitando movimenti bruschi, guardandola negli occhi. Allo stesso modo, è fondamentale ridurre i deficit sensoriali con un'adeguata illuminazione e con occhiali e/o protesi acustiche.
Il luogo fisico dove la persona trascorre i momenti della giornata è altrettanto fondamentale: una buona illuminazione, evitare rumori non necessari, ridurre gli spostamenti della persona. “Riflettendo su quale possa essere una terapia non farmacologica di cura per la persona con demenza, il presupposto negativo di base associato alla malattia si trasforma in positivo e si abbraccia una prospettiva nuova”, ha aggiunto la dottoressa Locusta.
ALZHEIMER, LAVORO MULTIDISCIPLINARE NELLE RELAZIONI PAZIENTE-FAMIGLIA
Il lavoro di cura della persona con malattia di Alzheimer, come anche per altre patologie, è un lavoro di équipe, nel quale diventa necessario evidenziare gli obiettivi funzionali che si intendono raggiungere. Si può contare su fisioterapisti e terapisti occupazionali. A livello motivazionale, tanto del terapista quanto del paziente, è fondamentale ricordare che i deficit cognitivi impattano come i deficit motori sulla capacità di raggiungere un determinato grado di autonomia. A partire da questo, si può cominciare un lavoro produttivo insieme al paziente e alla sua famiglia.
Il lavoro fisioterapico, che conta su un approccio geriatrico, non ha un luogo di lavoro «fisso» ma trasforma il luogo secondo le necessità della persona. Secondo la prospettiva della terapia occupazionale del paziente “è necessario ricreare punti di momenti di attività significative e incentivare l'acquisizione di alcune abitudini: quella determinata routine scandisce ritmi temporali, dove vengono inserite delle occupazioni determinanti per la persona”, ha concluso la dottoressa Locusta.
In quest’ottica, la relazione e il lavoro con il gruppo familiare e/o con le persone di riferimento per il malato di Alzheimer sono fonte di ricchezza per mantenere un buon livello di cura.