“Dalla telemedicina alla domotica, così ci prenderemo cura dei nonni d’Italia”

L'e-care italiano si può sviluppare grazie a un nuovo modo di intendere la Sanità. A colloquio con il professor Roberto Bernabei, Presidente di Italia Longeva

Un anno fa Italia Longeva si è fatta promotrice del “patto” per la tecnoassistenza. Con il professor Roberto Bernabei, presidente del network dedicato all’ invecchiamento creato dal Ministero della Salute, tracciamo un bilancio di questo percorso e un quadro generale dell’e-care italiano.

Professor Bernabei, quale il suo giudizio un anno dopo il patto per la tecnoassistenza?
“Con quell’evento presso il Ministero della Salute volevamo diffondere alcune buone notizie, ma anche richiamare alla responsabilità alcuni decisori chiave, sottolineando come la tecnoassistenza sia una strategia non più differibile per la presa in carico e la gestione dei pazienti anziani e fragili in genere. La buona notizia era l’approvazione delle linee d’indirizzo nazionali sulla telemedicina, strumento imprescindibile che stabilisce i criteri per il rimborso da parte del Servizio Sanitario Nazionale delle prestazioni offerte in telemedicina. Trascorso un anno, posso dire che quella buona notizia risulta depotenziata”.

Perché?
“A causa della scarsa applicazione in concreto dell’opportunità di diffondere ‘a tappeto’ un numero soddisfacente di prestazioni in tecnoassistenza. Oggi, quindi, mi sembra ancora più urgente e attuale l’esortazione che rivolgemmo allora ai decision maker della Sanità. È necessario che ciascuno degli amministratori della Sanità italiana si faccia carico di rendere più performanti ed efficienti i servizi offerti sotto la propria responsabilità, facendo leva sulle grandi opportunità offerte dalle moderne tecnologie”.

 

Il futuro della tecnoassistenza e della telemedicina è insomma rimesso al senso di responsabilità e alle capacità manageriali dei singoli decision maker.
“Non solo. Anche alla lungimiranza delle aziende che offrono le tecnologie su cui questi servizi si fondano. Se gli imprenditori delle tecnologie sanitarie offriranno economie di scala e prezzi sostenibili, questi strumenti si diffonderanno a macchia d’olio, sospinti non tanto dalle esortazioni di politici e burocrati, ma dalle leggi fondamentali dell’economia, nonché dal buonsenso. Io, ad esempio, sono fra quanti non hanno dubbi che la tecnoassistenza può essere uno strumento efficace e insostituibile per curare e assistere meglio un numero sorprendente di nonni italiani”.

Quali sono secondo lei i progetti di tecnoassistenza più ambiziosi sul territorio nazionale?

“È difficile individuare aree del Paese nelle quali i progetti di tecnoassistenza stiano prendendo piede in modo strutturato. Queste esperienze stanno sorgendo in modo abbastanza spontaneo e puntiforme. Forse fa eccezione il Veneto, che si è dotato di un consorzio, dedicato proprio alla sanità digitale, che riunisce le 23 aziende sociosanitarie e ospedaliere pubbliche presenti nella regione”.

Una diffusione a macchia di leopardo.
“Esatto. Va aggiunto che dal punto di vista geografico la tecnoassistenza non fa registrare neanche la classica spaccatura Nord-Sud che caratterizza spesso i servizi resi in Italia: registriamo progetti d’avanguardia tanto in Calabria, ad esempio con un’iniziativa di telemedicina nelle farmacie, quanto in Lombardia, ad esempio con il monitoraggio di alcuni pazienti diabetici via Skype. A parer mio dobbiamo convincerci che la tecnoassistenza ha una possibilità di diffondersi soltanto ‘per gemmazione’”.

Cioè?
“Non dobbiamo considerare come semplici ‘spot’ le miriadi di progetti pilota che si osservano nel nostro Paese, ma piuttosto come il primo seme di un campo destinato ad allargarsi, e senza dubbio a produrre un ottimo raccolto”.

Quali modelli potremmo importare dall'estero con successo?
“In generale non amo né riferirmi al concetto un po’ astratto di “modello”, né indulgere ad apprezzamenti troppo esterofili. Tuttavia, approfitto della domanda per proporre l’importazione in Italia di due esperienze concrete, sviluppate all’estero decisamente meglio di quanto non sia avvenuto da noi. Prima esperienza: la diffusione di apposite polizze assicurative che incentivino il paziente a un’opzione per la tecnoassistenza e per le cure da remoto, indirettamente finanziando e promuovendo l’assistenza fondata sulle tecnologie.

Seconda esperienza?
“Lo Stato potrebbe iniziare a dotare i diversi servizi sanitari regionali non dico di futuristiche attrezzature per la medicina a distanza, ma di un semplice call center, in grado di mettere a sistema tutti i progetti di tecnoassistenza che sono già sorti nelle diverse aree del Paese. Questo sì che sarebbe un bel volano per la diffusione a macchia d’olio dei progetti virtuosi che sono stati varati in molte zone d’Italia”.

La telemedicina è la soluzione per affrontare i problemi dovuti all'invecchiamento della popolazione? Da sola può bastare?
“La telemedicina è solo uno dei possibili approcci all’assistenza degli anziani, ma ci sono tante altre strategie, tutte fondate sulle possibilità offerte dalla tecnologia, che possono e devono essere messe in campo per cambiare radicalmente il nostro modo di curare i nonni d’Italia. La parola tecnoassistenza intende proprio riassumere la somma di questi interventi, che comprendono, tra gli altri, la telemedicina, l’organizzazione di una casa a misura di anziano grazie alla domotica, la teleassistenza garantita da dispositivi di monitoraggio dei principali parametri vitali indossabili. Non dobbiamo mai dimenticare qual è il punto chiave della nostra proposta, cioè il tentativo di curare gli anziani per quanto possibile a casa loro, dove si trovano i loro affetti e tutti gli stimoli emotivi indispensabili a preservare il gusto della vita”.

Una diffusione capillare della tecno-assistenza comporta anche investimenti importanti in strumenti e infrastrutture. La Sanità italiana è pronta o si tratta di uno sforzo eccessivo in un periodo di bilanci in rosso?
“Il problema non è la disponibilità di risorse, che già sappiamo essere insufficienti. La questione è individuare un nuovo assetto. Nel caso della tecnoassistenza, io mi auguro di vederla implementata attraverso uno sforzo congiunto di pubblico e privato, e anche grazie alla buona volontà degli imprenditori che operano nel settore delle tecnologie per la sanità. Ho citato non a caso l’esempio delle polizze assicurative che privilegiano la scelta di percorsi di cura in tecnoassistenza: è chiaro che si tratta di progetti pilota, ma credo che sia quella la direzione giusta in cui lavorare”.

Se vuoi ricevere gli aggiornamenti su Bussola Sanità seguici su Facebook Twitter o iscriviti alla newsletter usando il box nella colonna di destra