"Decreto Appropriatezza, così si indebolisce il ruolo medico"
Il commento del vicesegretario nazionale della Fimmg Pier Luigi Bartoletti sull'aumento (da 180 a 208) delle prestazioni specialistiche a prescrizione limitata
di Pier Luigi Bartoletti*
Il recente Decreto sulla appropriatezza è il solito esempio di come nel nostro Paese si riescano a coniugare le buone azioni con gli strumenti sbagliati.
Regolamentare l’utilizzo delle prestazioni di diagnostica è un cosa sacrosanta, perché è di assoluta evidenza che ve ne sia un consumo eccessivo.
Ma "che ci azzeccano" le sanzioni ai medici?
Forse servono a usare il medico come una foglia di fico che copre grossolane carenze di livello programmatorio?
In sanità esiste una legge ineluttabile: "Ad offerta inappropriata, corrisponde domanda inappropriata”. Nel nostro Paese c'è un’offerta di TAC, risonanze ed alta diagnostica, assolutamente eccessiva rispetto agli standard di programmazione sanitaria. Non bisogna quindi stupirsi che ve ne sia un uso esagerato.
Sarebbe strano il contrario.
Certo, il medico non entra nei criteri di programmazione, che sono invece a carico del sistema sanitario. Come dire che se in una azienda i costi di produzione sono eccessivi, la responsabilità è degli operai e non del management. Partendo dal presupposto che nessun medico prescrive dolosamente esami inutili per il proprio paziente, c'è da dire che magari accade per eccesso di zelo, in qualche caso superficialità, in altri poca capacità nel relazionarsi col paziente, che giustamente pretende il massimo per la propria salute, ma se il massimo non è necessario, in medicina certe volte può anche essere dannoso.
Se non si interviene sulla programmazione sanitaria, un provvedimento come il Decreto appropriatezza non può fare altro che spostare la spesa inappropriata dalle tasche del sistema pubblico alle tasche dei cittadini. Anche in altri paesi, vedi Regno Unito, si è affrontato il problema dell’appropriatezza. Ma lì i dati di programmazione sanitaria sono rispettati: un reparto di emodinamica, per esempio, si apre solo se c'è un bacino di riferimento di almeno mezzo milione di abitanti. Qui da noi, invece, in alcune realtà, per usare un eufemismo, si è “largheggiato”.
A Roma, per esempio, se vi divertite con la calcolatrice alla mano a dividere i reparti di emodinamica per gli abitanti, ne vedrete delle belle. Non parliamo poi del numero di TAC e Risonanze presenti, superiori a quelle di tutta la Germania. Non c'è da stupirsi se di fronte ad un provvedimento che fa apparire i medici come i responsabili del problema, la categoria si irriti.
Significa che i medici italiani hanno una propria dignità. D’altronde sono loro che tutti i giorni ci mettono la faccia, in Pronto soccorso, in Ospedale, nel proprio studio, di fronte a persone che lamentano liste di attesa eccessive e carenze organizzative, senza disporre di strumenti di reale controllo del processo di cura. Si ha ben ragione di irritarsi, a vedere come mentre nel Regno Unito ci si doti di uno strumento di supporto decisionale, addirittura con un organismo istituzionale (il “NICE”, Istituto nazionale per la Salute e l’eccellenza delle cure), qui da noi si adottino reportistica di spesa, note limitative ed oggi anche le multe.
Complimenti vivissimi per la professionalità espressa. Per non parlare della miriade sterminata di esenzioni che poco hanno a che fare con la salute, delle campagne di stampa che propagandano cause di malasanità. Il problema dell’uso eccessivo della diagnostica si risolve anche attraverso modelli organizzativi che favoriscano il dialogo tra professionisti, rendendo reali “paroloni” come continuità ospedale-territorio, umanizzazione delle cure e integrazione tra professionisti. Sono processi complessi, che necessitano di una forte sponda istituzionale che non si limiti a dichiarare principi, ma che entri nelle dinamiche del difficile e complesso lavoro del medico.
Poi ci si lamenta della fuga all'estero dei nostri medici. C'è invece da stupirsi per quelli che rimangono, incrollabili ottimisti o rassegnati in vista della pensione.
Che senso ha che un sistema sanitario indichi come responsabili dei mali del sistema un proprio centro di responsabilità?
Significa semplicemente indebolire ancora di più il ruolo medico. E un sistema sanitario che fa questo non ha un gran futuro. Se oggi il cittadino pensa che l’esame richiesto non è stato prescritto perché il proprio medico non lo ha ritenuto necessario, domani penserà che è sia stato prescritto perché il medico ha paura della multa. Non parliamo poi del fatto che si è detto che i risparmi saranno destinati ai rinnovi contrattuali.
Si penserà anche che esista un interesse diretto nel non prescrivere.
Quindi? Cosa fare?
Quello che hanno fatto gli altri Paesi: rispettare i criteri programmatori, fornire di supporti decisionali gli operatori e rivedere anche il sistema complessivo di esenzione, che sia ancorato alla salute.
Se si dicesse semplicemente che il sistema sanitario pubblico garantisce tutto il necessario per curarsi, anche qualcosa di più, ma il superfluo non lo rimborsa e chi decide è il medico - supportato nelle decisioni e non certo multato -, nessuno griderebbe allo scandalo. Spero che vi sia spazio per trovare la migliore soluzione fuori da logiche di contrapposizione e da pregiudizi.
Ma basandosi, come sempre si dovrebbe fare in sanità, sulle evidenze, sui numeri e puntando sulla valorizzazione e non sull’intimidazione del personale sanitario.
*Vice Segretario Nazionale FIMMG
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