Farmaci di fascia C, liberalizzazione non positiva per il cittadino

Consentire la vendita di questi prodotti anche fuori dalle farmacie nasconde rischi per i pazienti e problemi per la loro assistenza

Vendere farmaci di fascia C fuori dalle farmacie potrebbe non essere una buona idea. Il tema è tornato d’attualità in questi giorni dopo la notizia che il Governo sta pensando di liberalizzare questa compito ora attribuito in maniera esclusive alle farmacie. L’ipotesi ha provocato un’ampia reazione contraria che è andata dalle associazioni di farmacisti a diverse società scientifiche. Problemi sono stati rilevati anche da Maria Corongiu, segretario della Fimmg (Federazione dei medici di medicina generale) del Lazio che Bussola Sanità ha sentito sulla questione.

Il farmaco non può essere solo una merce. I farmaci di fascia C, come del resto tutti gli altri, svolgono un ruolo essenziale per la cura dei pazienti. Questo compito non può essere banalizzato. "Questa ventilata innovazione – ha spiegato Maria Corongiu – non mi sembra vada nell’interesse del cittadino. Da sempre la distribuzione del farmaco, anche di fascia C, è il punto di arrivo di un percorso che parte dal medico di famiglia e raggiunge il cittadino passando dal farmacista. Non si vede il motivo di intervenire in un processo che funziona benissimo. La sua distruzione fa intravedere il rischio di una deriva commerciale di un atto che è invece basato sulle esigenze terapeutiche di ogni nostro paziente”.

“La cosiddetta deregulation – ha aggiunto il segretario della Fimmg del Lazio – non credo sia applicabile alla sanità, che deve invece puntare solo al mantenimento o al recupero della salute dei cittadini. Sono convinta che sia necessaria conservare le cose nel loro stato attuale proprio per proteggere i cittadini. In caso contrario temo che possa andare perduta la preziosa figura del farmacista che lavora a fianco del medico e con questo collabora, anche attraverso la distribuzione ragionata dei farmaci di fascia C”.

@gianlucacasponi

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